Mosca-Costantinopoli-Kiev: dove si fermerà il conflitto?

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Cercando la verità dentro il conflitto

Il contendere che oppone i patriarcati di Costantinopoli e di Mosca in merito alla Chiesa ucraina prosegue a colpi di azioni e reazioni. A parte le implicazioni politiche, si tratta innanzitutto di una vicenda che tocca al cuore la vita della Chiesa.
Dall’aprile di quest’anno abbiamo assistito a una vera e propria escalation della tensione tra i patriarcati di Mosca e Costantinopoli, che si misurano sul «territorio canonico» della Chiesa ucraina, riguardo al quale ambedue rivendicano un diritto di giurisdizione. Tuttavia, in quanto sta accadendo ora si rendono evidenti tensioni latenti da tempo, che non riguardano solo le Chiese russa e costantinopolitana ma anche altri conflitti relativi all’appartenenza canonica di Chiese locali, che si trovano per lo più a far parte di nuove entità statali nate dalla disgregazione dell’ex-Jugoslavia o dell’ex-Unione Sovietica. Tali conflitti rendono evidente come anche l’ortodossia si trovi davanti a un vero e proprio mutamento d’epoca, che vede la crisi della concezione ecclesiologica – basata sul principio di autocefalia e di reciproca non ingerenza tra le Chiese locali su base nazionale – dominante nell’ultimo millennio, sempre più sfidata dall’accentuarsi della mobilità delle persone e dalla globalizzazione, che favorisce il fenomeno definito dal cardinal Scola «meticciato di civiltà». Ma ad essere messo in crisi non è semplicemente un modello organizzativo: la domanda più profonda riguarda l’urgenza della testimonianza che il mondo si attende dai cristiani, e l’offuscarsi della consapevolezza che l’annuncio del vangelo e la celebrazione della divino umanità di Cristo costituiscono il senso dell’esistenza della Chiesa.

Già nello scorso mese di maggio, e poi ancora all’inizio di ottobre, papa Francesco ha indicato la posizione della Chiesa cattolica relativamente a questi fatti: nessun intervento diretto nelle vicende interne all’ortodossia, ma un intenso accompagnamento nella preghiera per l’unità della Chiesa e per la sconfitta del divisore, cioè il diavolo. Seguendo il suo invito, riteniamo importante, per la nostra rivista, non solo informare sui fatti, ma anche – e soprattutto – mettere in evidenza quelle voci dal mondo ortodosso che possono testimoniarci cosa stia emergendo alla coscienza dei credenti, come attestazione della presenza continua ed efficace di Cristo. Siamo certi che una maggiore consapevolezza possa favorire in noi cattolici una più vera partecipazione alle vicende degli ortodossi, tale da mostrarci come nella sincera com- passione, quando cioè si accolgono come propri lo struggimento e la sofferenza dei fratelli, si intraveda già ora una reale unità che genera un’aurora di speranza anche in tempi difficili.

 

Metropolitan Onufriy (C), head of the Ukrainian Orthodox Church of Moscow Patriarchy, conducts a prayer for peace in the Kiev-Pechersk Lavra monastery, the headquarter of the Ukrainian Orthodox Church of Moscow Patriarchy, in Kiev, on October 14, 2018. – The Istanbul-based Ecumenical Patriarchate on October 11, 2018 said it had agreed to recognise the independence of the Ukrainian Orthodox Church, a move strongly desired by Kiev but which risks stoking new tensions with Moscow. (Photo by Volodymyr Shuvayev / AFP)

 

LE TAPPE DELLA CRISI
• Nel 1992 dopo che il paese ha conseguito l’indipendenza politica, i vescovi della Chiesa ortodossa ucraina, che fanno parte del patriarcato di Mosca, inviano una lettera collettiva al patriarca Aleksij II per chiedere l’autocefalia. Avendo ricevuto un rifiuto, una parte del clero e dei fedeli, guidata dal metropolita Filaret di Kiev, si stacca e fonda la Chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Kiev, Chiesa non canonica e non riconosciuta dalla comunione ortodossa.
• Nel 1995 viene registrata ufficialmente un’altra Chiesa non canonica, la Chiesa ortodossa ucraina autocefala, nata storicamente già nel 1920 e risorta nel 1989. Queste due cospicue comunità non canoniche costituiscono, a giudizio di molti, un «disordine» che potrebbe essere sanato con la creazione di una Chiesa ortodossa ucraina indipendente da Mosca.
Il 9 aprile 2018 il presidente ucraino Petro Porošenko in visita a Costantinopoli rivolge una richiesta formale al patriarca ecumenico Bartolomeo perché accolga nella sua giurisdizione la Chiesa ortodossa ucraina e le conceda l’autocefalia.
• Il 19 aprile la Rada di Kiev ratifica la richiesta del presidente.
• Il portavoce del patriarcato ecumenico afferma che la richiesta è stata accolta, e il patriarca sta semplicemente riflettendo sulle modalità.
• Inizia un ampio giro di consultazioni, da parte di Mosca e di Costantinopoli, con i primati delle Chiese ortodosse.
• Il 31 agosto incontro al Fanar (sede del patriarcato a Costantinopoli) tra i patriarchi Kirill e Bartolomeo. L’estremo tentativo di mediazione non ha successo.
• Il 7 settembre il patriarca Bartolomeo nomina come suoi esarchi a Kiev i vescovi Daniel di Pamphilon (USA) e Ilarion di Edmonton (Canada); avranno il compito di svolgere le consultazioni per la riunificazione delle Chiese non canoniche.
• Il 14 settembre il Santo Sinodo della Chiesa russa, riunito a Minsk, in risposta a quella che considera un’«invasione» del suo territorio canonico, sospende la menzione di Bartolomeo nelle preghiere liturgiche e la concelebrazione con i vescovi di Costantinopoli.
• L’11 ottobre, il patriarca ecumenico, in vista dell’autocefalia ucraina, stabilisce a Kiev una stavropegia, cioè una giurisdizione direttamente dipendente da Costantinopoli. A questo scopo, invalida il documento del 1686 che concedeva al patriarcato di Mosca l’autorità sulla metropolia di Kiev, perché non ci sarebbe stata «una piena cessione dell’eparchia di Kiev al patriarca di Mosca», ma «un permesso provvisorio» dato «per economia e necessità del momento». Congiuntamente Bartolomeo ripristina nel loro rango i capi delle due Chiese non canoniche di Kiev, Filaret (Denisenko) e Makarij (Maletič). Per la Chiesa russa si tratta di un punto di non ritorno.

• 15 ottobre, come risposta Mosca interrompe la comunione eucaristica con Costantinopoli. La misura è particolarmente dolorosa per quei russi che, trovandosi all’estero, usano frequentare le chiese del patriarcato ecumenico. Quest’ultimo, tuttavia, non risponde con un’azione speculare.

• Il patriarcato di Mosca fa appello agli altri primati ortodossi affinché cerchino insieme «una via d’uscita dalla grave crisi che lacera il corpo» della Chiesa.
• Il 19 ottobre i Patriarchi di Serbia e di Antiochia fanno una dichiarazione comune che esorta alla riconciliazione, perché «l’attuale momento storico è molto difficile e delicato e richiede, come mai prima, molta saggezza, pazienza e vigilanza spirituale, per preservare la pace e l’unità della Chiesa ortodossa e per prevenirne la caduta, consapevole o inconsapevole, nei tranelli degli interessi e delle ambizioni politiche».

• Il Fanar comunica che il Concilio fondativo avrà luogo a Kiev nella prima metà di dicembre 2018. Il Concilio ha lo scopo di creare una Chiesa ucraina locale unitaria, indipendente da Mosca, e contestualmente di eleggerne il primate. Sarà a questi che in seguito verrà consegnato il Tomos dell’autocefalia.